Ci eravamo chiesti Il crowdsourcing… che cos’è?.
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Molti nostri manager si sono formati sul modello organizzativo della catena del valore, teorizzato da
L’instabilità e la turbolenza della realtà, oggi, mette alla prova la capacità di reazione dell’impresa, la sua flessibilità per riconfigurarsi in sintonia con le esigenze di un mercato in continua evoluzione. La buona notizia è che questo oggi è possibile, esistono strumenti e piattaforme che supportano questo approccio. Persino strumenti sinora confinati nel campo delle relazioni interpersonali, come facebook, twitter o friendfeed possono essere inseriti in ambito aziendale e piegati alle esigenze dell’impresa, magari usandoli inizialmente solo come “palestra”.
Anche se in ambito aziendale, spesso, gli strumenti collaborativi web 2.0 vengono ancora visti con scetticismo, è importante sviluppare una riflessione sul fronte organizzativo. La rete è fatta di nodi, interconnessi tra loro, e la potenza di Internet sta nel fatto che sono (quasi) tutti sullo stesso piano; ciò consente che l’informazione circoli e si diffonda con rapidità e pervasività.
Anche Wikipedia, nonostante sia la quintessenza del crowdsourcing (neologismo caro al mondo della Rete e ancora poco diffuso), è piuttosto generica nella sua definizione: http://it.wikipedia.org/wiki/Crowdsourcing.
Si tratta di un’evoluzione del concetto di outsourcing (delegare all’esterno): il crowdsourcing è una metodologia di collaborazione con la quale le imprese chiedono un contributo attivo alla rete, delegando ad un insieme distribuito di persone, che si aggregano intorno ad una piattaforma web, lo sviluppo di un progetto o di una parte di un’attività di un’azienda.
Le grandi imprese, per poter rimanere competitive, hanno sempre cercato all’esterno l’esperienza e la specializzazione. L’avvento delle piattaforme partecipative web 2.0 consente a communities distribuite su tutto il globo di trovare la soluzione ad un problema di ricerca e sviluppo, di design, di advertising o altro.
Gianluca Dettori distingue nettamente due livelli e contesti:
il ‘best effort‘ che riguarda “spontanee contribuzioni” che hanno generato la più vasta e aggiornata enciclopedia del mondo, wikipedia. “Il crowdsourcing è l’unica metodologia efficace per generare un prodotto di questo tipo ed è in grado di scalare praticamente all’infinito”.
il contesto “enterprise“ in cui è necessario invece ” gestire il processo end-to-end: organizzare e profilare i contributori, assegnare i task e chiudere i processi, remunerare i contributori e verificare i loro deliverables. Se voglio utilizzare il crowdsourcing per fornire servizi di help online e di customer care, ad esempio, devo rispondere entro certi parametri di tempo, costo e qualità alle richieste dei miei clienti”. Per questo, nel contesto enterprise, si parla di Crowdengineering”.
Pensiamo ai distretti, alle reti di imprese, alle filiere che si organizzano e al nuovo contratto di rete.
Nel contesto italiano, la questione è strategica, in quanto, se formalizzate, le reti sono un nuovo modello di business verso una maggiore efficienza, flessibilità e creatività.
Inoltre, se è vero che l’innovazione è una precondizione per sopravvivere o consolidarsi sul mercato, è anche vero che soprattutto le Pmi hanno bisogno di ricorrere a un modello di business economicamente sostenibile per implementarla. Una risposta semplice e forte può venire proprio dal Crowdsourcing. Le piccole imprese sono l’ambiente ideale per coltivare queste forme di collaborazione, poiché i limiti economici o culturali impediscono spesso il fiorire di competenze specialistiche interne.
Il crowdsourcing non è una via per tagliare costi ma è engagement, produzione di conoscenza e di insight, dove le marche e le agenzie più accorte diventano abilitatori. Il nuovo paradigma sta probabilmente nell’opportunità di interessarsi anche di chi “perde” e di coinvolgersi tanto dall’alto del management, quanto dall’esterno, facendo del crowdsourcing un serbatoio di valori continuamente alimentati.
Come sostenuto da Andrea Genovese su 7thfloor.it:
Scorporate è la mia tag, il paradigma di questo nuovo modo di fare impresa e società. Fate entrare nel modello di creazione del valore delle vostre imprese, i vostri consum-autori, i vostri consulenti-clienti, restate connessi e in osmosi con il mondo che vi circonda e che abita la parte più attiva della rete, tenete invece lontane le società di consulenza prive di sensibilità verso i nuovi modelli partecipativi digitali, rivoluzionate i vostri processi organizzativi adottando piattaforme aperte di collaborazione e di coinvolgimento.
Un caso molto conosciuto ormai è Zooppa che dimostra come il crowdsourcing sia parte di una strategia di brand identity più ampia che va governata e, al tempo stesso, una fonte di relazioni preziose da coltivare anche per promuovere i contenuti generati dagli utenti.