Nell’estate del 2005 Sepandar Kamvar e Jonathan Harris, due visionari dell’informatica, decidono di sviluppare un programma che fosse in grado di setacciare blog e social network per intercettare due frasi chiave, I feel e I’m feeling. L’obiettivo era creare un database delle emozioni che visualizzasse con grafici, immagini e parole lo stato d’animo del mondo.
«Il web stava diventando un concentrato affascinate di umanità e complessità. E noi avevamo un’idea: mixare algoritmi, sentimenti e arte»
Così, nel 2006, è nato We feel fine, un progetto che in quattro anni ha monitorato 12 milioni di sentimenti, collezionando le storie di un campionario umano di oltre due milioni di persone, suddiviso in base a età, sesso, città, nazione, stati d’animo e condizioni atmosferiche. Una mappa emotiva online in continua evoluzione, in grado di captare il nostro coefficiente di felicità in tempo reale.
Se nella classifica dei sentimenti il primo posto se lo aggiudica “I feel better”, al secondo si piazzano quelli che stanno “male” (il 54% donne), al terzo gli ottimisti di “I feel good” (53% uomini) e, a scalare, quelli che si sentono colpevoli, spiacenti, indisposti (sarà una coincidenza ma, in tutti e tre i casi, in maggioranza donne). Quelli grati a qualcuno in realtà sono anche i più felici.
Gli “equilibrati” arrivano solo al quattrocentotreesimo posto, e al cinquecentesimo quei pochi che si trovano intelligenti. Gli anziani sono più felici dei giovani e le donne sono più brave a esprimere le emozioni.
Tutto questo grazie alla rivoluzione del self-publishing, cioè a tutti quelli che hanno deciso di raccontarsi ogni giorno online in una sorta di confessione collettiva, impensabile prima d’ora, liberi di scegliere i propri tempi e di seguire un pensiero alla volta. In questo modo il web diventa una nuova forma d’arte con tre caratteristiche straordinarie che nessun media e nessuna forma artistica hanno mai avuto prima: accessibilità, dinamismo e interazione. Dandoci la possibilità di sentirci tutti più liberi, anche se…
Per la tecnologia vale ciò che un monaco buddista disse al Nobel Usa per la fisica Richard Feynman in visita in Tailandia:
«Ogni persona possiede la chiave che spalanca le porte del paradiso. Ma è la stessa che apre quelle dell’inferno».